venerdì 20 settembre 2013

IL POLITICO parla, sparla, straparla... Luciano Lama







L'autore: Luciano Lama, nato in provincia di Forlì nel 1921. E'stato per molti anni segretario nazionale della Cgil, il sindacato dei lavoratori legato ai partiti della sinistra, e successivamente deputato al Parlamento nazionale.


Il testo è tratto da: un settimanale nazionale tra i più diffusi; << Panorama >>.

Genere: articolo di opinione.

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Per me la lingua è certamente uno strumento di lavoro. Ma proprio per questo non ne conosco che un aspetto, mentre gli esperti insegnano che la parola è come un prisma, ha molte facce. Io appunto mi occupo di una sola di queste, ovvero di usare la lingua per comunicare il mio pensiero convincendo al tempo stesso gli altri che il mio pensiero è giusto. E mai, come credo valga per qualunque politico, ho cercato di abbellirla, o di ottenere sul mio parlare un giudizio estetico. 

Chissà, forse dipende proprio da questo il fatto che noi politici abbiamo degli enormi difetti in maniera linguistica. L'imprecisione e l'approssimazione, che in altri casi sono un valore poetico, per noi sono un vizio. Spesso infatti si usa l'imprecisione o l'approssimazione per comodità o per inganno.
Per comodità, perchè usare il <<politichese>> o il <<sindacalese>> è facile, permette di far ricorso a routines terminologiche, consente di esercitare più spesso e più rapidamente il discorso in pubblico. Solo che in questo caso il rischio è quello di essere capiti da pochi, solo dagli addetti ai lavori. Il che è un difetto, mi si consenta, non solo dei politici ma anche dei giornalisti.

Diversi quotidiani ad altissima tiratura si lasciano andare al politichese come e più dei politici. 
Per inganno, perchè con l'oscurità  e la genericità è facile nascondere il pensiero piuttosto che esporlo. Peraltro, non è solo il lessico e il suo impoverimento che costituisce un difetto del parlare politico. Ci sono anche i toni e le intensità. Quando ero giovane, per esempio, non c'era l'abitudine di stare sempre sopra le righe, di rendere tutto superlativo e sopra tono. 

La ricchezza della lingua, infatti, è anche quella di possedere i toni intermedi, così come in fondo capita anche agli eventi della vita. Mi pare invece che il politichese, abbia portato all'abuso delle tinte forti e degli effetti drammatici. Lo stesso vale per l'altro abuso, quello delle parole magiche, che spesso non significano nulla o significano qualcosa solo a seconda del potere di chi le pronuncia. O per quello, ancora più comune, di cancellare il senso dei sostantivi accompagnandoli con gli aggettivi obbligatori. Per esempio, non si parla mai di un problema, ma di un grosso problema.
E così la sostanza diventa l'aggettivo, e non il nome.

Da cosa dipende questo decadimento? Talvolta dalla malafede, d'accordo. Ma talvolta anche dal mutato ruolo del politico, che parla molto più di prima. E oggi il parlato è meno ricco di quanto potesse essere una volta. Il divario fra lingua letteraria e lingua orale un tempo era un valore. 
Oggi, e questa è una domanda agli esperti e non una risposta, 
Quel divario va incrementato o eliminato??

                

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